Mi capita sempre così, quando ascolto un concerto dal vivo, anche se le musiche mi sono note già da molto tempo, sento suscitare in me emozioni sempre nuove.
Ciò mi convince sempre di più che ascoltare musica dal vivo sia un evento: l’arte accade in quel momento, è viva e ti coinvolge in modo unico. Proprio per questo rivedo volentieri anche grandi architetture come le cattedrali o opere d’arte più volte, sono convinto infatti, che ogni volta quel monumento, quel dipinto, quella scultura, ti parla in modo sempre più significativo, arricchendo così la tua esperienza e il tuo vissuto.
Non voglio fare qui in’analisi prettamente musicale dei brani ascoltati nel concerto, quanto piuttosto descrivere, anche se le parole sono insufficienti, le emozioni che hanno suscitato in me questi canti meravigliosi.
Mi sono messo in ascolto con nella mente e nel cuore la Parola di Dio della Prima domenica di Avvento, Questa liturgia ci parla del “Giorno del Signore” con tinte molto forti e per certi versi “oscure”. Siamo in attesa del “figlio dell’uomo che verrà sulle nubi del cielo”, ma questa attesa è segnata da terremoti, carestie, pestilenze, eserciti in guerra, Ci manca la parola per spiegare questa scrittura, come guidare un ascolto che, alla descrizione di questi avvenimenti, non abbatta, non terrorizzi, non scoraggi, ma susciti quella speranza che renda vigile la nostra “attesa”?
Sicuramente illuminanti sono state le splendide note del programma di sala di Laura Mazzagufo la quale sposa una tesi a me molto famigliare che condivido in pieno e già diverse volte io stesso ho citato ad esempio nelle omelie. Si tratta del Mosè e Aronne, opera capolavoro di Schoenberg.
Cito da Mazzagufo “La narrazione della missione profetica di Mosè, spogliata degli episodi più spettacolari e scenografici (come l’attraversamento del Mare di Giunco o lo scatenarsi delle cosiddette ‘dieci piaghe d’Egitto’), si concentra sul dissidio interiore dell’uomo, stanco e anziano, che si professa incapace di trasmettere al popolo l’“idea” di un nuovo Dio, unico e onnipotente, ma allo stesso tempo invisibile e ineffabile, letteralmente non raffigurabile. C’è un passo particolarmente significativo, alla fine del secondo atto, in cui Mosè, sentendosi sopraffatto, solo e abbandonato, si rivolge a Dio in un appassionato monologo: «Irraffigurabile Iddio! / Inesprimibile, polivalente Idea! / […] Mi sono creato dunque un’immagine falsa / come solo un’immagine può essere! / Dunque, son vinto! / Ed era tutto follia ciò che ho pensato, / e non può né deve essere detto!». Nel terrificante istante in cui sente infranta la speranza di compiere il suo incarico, e quando gli si palesa l’inadeguatezza del linguaggio non solo nella circostanza del proprio compito, ovvero quello di comunicare un pensiero inesprimibile, ma anche rispetto alla concretezza del mondo reale, umano, Mosè irrompe in una delle invocazioni più violente e disperate che l’opera in musica ricordi – «O Wort, du Wort, das mir fehlt! (O parola, parola che mi manca!)»”
Il popolo stesso prende con ironia la manifestazione di un Dio l’Onnipotente, ma che non si fa vedere, non dice il suo nome, non mostra il suo volto, non permette nemmeno una sua immagine.
Il popolo infatti così interviene:
Io non lo vedo! Dovʼè?
Mostracelo! e ci inginocchieremo;
se egli è il nostro Dio, se egli ci protegge!
Ma dovʼè? Mostracelo!
Non lo si potrà mai vedere? È eternamente invisibile?
Come? Il tuo onnipotente Iddio non può rendersi a noi visibile?
Certo, come tutti sappiamo, per Schoenberg all’inefficacia della parola corrisponderà anche l’inefficacia del linguaggio musicale e quindi la necessità storica di trovare una nuova rotta. Sotto questa luce, il grido di Mosè appartiene non solo al personaggio biblico, ma a tutta la generazione di compositori nati a cavallo del nuovo secolo.
Eppure, ascoltando questo concerto, ci accorgiamo ancora di più, che la Musica del 900 ha comunque una cifra originalissima per comunicare l’Incomunicabile, per dire l’Inesprimibile e, se il suo linguaggio, lontano dalle perfette cadenze tonali, qualche volta ci è un po’ ostico all’orecchio, tuttavia ci regala misteriose emozioni che suscitano interessanti interrogativi stimolando nuove ricerche e continue scoperte.
Sì, certo, all’ascoltatore meno attento forse il cromatismo della musica del 900 è più attribuibile a un rivolgimento interiore, a una ricerca spasmodica di un’umanità confusa, eppure dobbiamo dire che, dal punto di vista dell’efficacia espressiva, la musica del 900 raggiunge livelli altissimi.
In effetti a questa ricerca continua del volto di Dio che percorre tutto l’Antico Testamento, Dio risponde! Quel Dio senza nome e senza volto, noi lo abbiamo conosciuto. L’Incomunicabile, si è comunicato e “noi abbiamo visto la sua gloria”.
“Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi.” Ci dice l’Evangelista Giovanni
Dobbiamo dire che alle porte del Tempo di Avvento noi celebriamo, nel mistero dell’Incarnazione, la risposta di Dio a questo grido provocatorio che nel profeta Isaia si esprime con le parole: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”
Quale meravigliosa visione di pace ho subito percepito nella Messa Modale di Alain. Una composizione la cui modalità si innesta in uno stile antico, ma dal quale sa trarre nuove sonorità come la bella comunione tra organo e flauto. Quale splendido equilibrio tra i due strumenti quasi che l’uno sembrasse un registro dell’altro e le voci erano appoggiate come “in eco” rispetto agli strumenti che facevano da sostegno a un canto celestiale.
Visione sicuramente confermata dal successivo gioiello che è il mottetto Tota pulchra di Duruflè. Oltre ad essere un testo a me molto caro, per il fatto che è scritto sul cornicione della nostra chiesa parrocchiale, ed essere quindi la preghiera tipica della nostra comunità che si affida a Maria, devo dire che la musica di Duruflè è veramente eccezionale per la sua “essenzialità”. Più che una polifonia sembrerebbe un “gregoriano che si espande”, che esce dal suo essere unisono non per contraddire l’unicità, ma per arricchirla di un suono che resta comunque fondamentalmente radicato nella monodia come primaria cifra identificativa.
Il desiderio dell’attesa della venuta del Signore ha comunque percorso tutto questo concerto come “una forte preghiera di intercessione”.
La meravigliosa Pala del Befulco che conserviamo nella nostra cappella ci mostra il Figlio di Dio, presente nella Trinità come il Pontefice eterno secondo quella meravigliosa orazione del messale ambrosiano che dice:
Il tuo Figlio unigenito, o Dio vivo e santo, che totalmente condivide con noi l’umana natura, sta davanti a te, come pontefice eterno; per la forza della sua mediazione effondi su noi la tua pietà inesauribile e fa’ che ci uniamo un giorno nel canto della lode perenne a Lui.
Ora questo sommo sacerdote elevato sopra i cieli, intercede per noi, ed è questa cifra invocati va che mi ha accompagnato per tutto questo concerto.
“Vivo la mia vita in affanni sempre più grandi” ci ha detto il meraviglioso mottetto
ICH KREISE di Aitana Kasulin ascoltato in prima esecuzione assoluta. Una bellezza strabiliante così come il SONG FOR ATHENE di John Tavener che contiene la preghiera del ladro sulla croce “Ricordati di me o Signore quando entrerai nel tuo Regno”. Questo canto è un canto funebre carico di speranza, è una litania la cui risposta cadenzata è un alleluia: un dialogo tra morte e vita, un’invocazione al primogenito dei risorti, un riposo che prelude a un incontro, un pianto della tomba da cui nasce un canto che ci unisce al coro dei santi.
Quanta speranza suscita questa musica, quale stupore dice questo invito: “Vieni è preparato per te un Regno” che diventa il pensiero ultimo e il desiderio vero di quella speranza che lo Spirito di Dio ha riversato nei nostri cuori.
Per quanto riguarda la Missa brevis di Britten mi fermerei semplicemente al Kyrie. Ascoltando il primo brano della messa si resta sicuramente colpiti da questo moto discendente dell’invocazione Kyrie al moto invece ascendente del Christe per tornare al discendere del kyrie successivo. Penso volentieri a questo brano musicale da riferire al Mistero dell’Incarnazione, al “descendit de coelo” al “Verbo che si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi” al “Kyrios, il Signore che si fa uomo come noi, senza considerare un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ma svuotando se stesso”. Il Christe, invece, per moto contrario, ci porta in alto. Ecco qui descritta musicalmente la frase di Giovanni Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. che riprende la visione del sogno di Giacobbe: la scala la cui cima toccava il cielo e angeli che salivano e scendevano.
Poi il grande finale. Le Litanies di Alain: brano famosissimo per organo solo. Non saprei dire quante volte l’ho ascoltato e quante volte il tema di inizio come un ritornello martellante che percorre tutta l’opera, breve ma intensissima, mi sia risuonato in modo efficace e profondo nella mente e nel cuore. E’ proprio vera la frase del compositore: «è un’ossessione. Devi riempirne le orecchie degli uomini, e persino le orecchie di Dio! Se arrivi alla fine senza sentirti esausto, non hai capito né Litanies né il modo in cui vorrei che fosse eseguito»
Un’invocazione di un’umanità che vuol riempire le orecchie di Dio. La parabola evangelica della vedova che insiste con il giudice iniquo, penso che sia l’icona più adatta a descrivere quest’opera straordinaria. Come tutti i capolavori essa fa parte del panorama organistico del 900 come una gemma preziosa che rivela le sue infinite sfaccettature a ogni esecuzione. Non posso concludere senza un plauso grandissimo agli esecutori di questo concerto. Comprendendo la difficoltà delle musiche eseguite, la capacità di conoscenza del luogo e dell’acustica, la composizione di questo programma che da solo merita un encomio per la sua rarità, ma anche per la sua eccellenza, la nostra parrocchia, insieme con l’Associazione Noema, prosegue questo cammino, certamente di grande valore, in cui si intersecano, in modo mirabile, l’arte musicale, la preghiera liturgica e l’intensa spiritualità che il Mistero di Cristo espande nel tempo
Comments